Solo ora siamo venuti a conoscenza che Francesco Santanera ci ha lasciati.
Francesco era un GIGANTE. Per un breve periodo siamo stati insieme a lui nella sua lunga battaglia in difesa degli anziani malati non autosufficienti. E’ venuto anche a Parma, alla fine del 1990, a sostenere le battaglie del Comitato familiari ricoverati Iraia e dell’ Associazione Verdi Ambiente & Società in difesa della sanità pubblica e degli anziani malati.
Ma prima di ricordare Francesco Santanera e le sue battaglie non possiamo non sottolineare che oggi ci troviamo di fronte ad in sistema sanitario a pezzi, e a farne maggiormente le spese sono proprio gli anziani malati.
Alcune righe sulla sanità oggi.
Sul quotidiano “la Repubblica” del 16 ottobre 2022 il direttore Maurizio Molinari ha scritto come “la maggioranza della popolazione non si sente sufficientemente protetta dallo Stato” e aggiunge “Sono milioni le famiglie che hanno difficoltà ad acquistare i farmaci di prima necessità ed hanno ancor più il problema di come gestire i propri anziani, sempre più bisognosi di tutti. Queste famiglie avrebbero bisogno di una Sanità pubblica in grado di occuparsi della salute degli anziani, dei malati gravi e dei più bisognosi anche perché la durata della vita si allunga. Ma lo Stato non ha risorse economiche sufficienti per fronteggiare questa richiesta di protezione collettiva”.
«La sanità è allo sfascio»
«Cara Giorgia, sono una donna e sono una medica…». Inizia così una delle lettere alla Presidente del consiglio lette il 15 dicembre 2022 in piazza Santi Apostoli, a Roma. Nella foto di copertina un momento della manifestazione dei medici a Roma.
Alcune centinaia di medici si sono date appuntamento per protestare contro manovra e governo, ma soprattutto contro 20 anni di smantellamento della sanità pubblica. «SONO MEDICA del pronto soccorso da 15 anni e lo declino orgogliosamente al femminile», continua la lettera pubblicata da un articolo del Manifesto, che è di Caterina Pandolfi. La dottoressa racconta di sentirsi umiliata e intimorita dalle minacce e violenze che avvengono quotidianamente nei corridoi degli ospedali italiani, spesso perché di malfunzionamenti e carenze strutturali i pazienti presentano il conto ai camici bianchi.
TRA IL 2010 E IL 2020 in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso, tagliati 37 mila posti letto.
PIERINO DI SILVERIO, segretario nazionale Anaao Assomed afferma durante la protesta romana: «Manifestiamo a favore del sistema sanitario pubblico non tanto perché il governo ascolti, visto che ha avuto modo di ascoltarci fino a oggi, ma perché i cittadini comprendano che, continuando con i disinvestimenti, sono a rischio la salute e le cure nel pubblico. Non possiamo essere né complici né vittime di politiche che determinano la morte del Ssn. La Nota di economia e finanza per il 2025 prevede uno stanziamento sul Pil del 6,1%, la media Ue è dell’11,3%. Dei 2,1miliardi nel 2023, 1,4 è per il caro bollette; 60milioni ai medici a partire dal 2024 e solo ai medici di pronto soccorso, briciole. Non chiediamo un contentino ma di essere messi nelle condizioni di erogare cure».
Francesco Santanera ci lascia
Proprio mentre “bisogna soccorrere la sanità per NON MORIRE” abbiamo appreso che nei mesi scorsi ci ha lasciato un grande amico, Francesco Santanera, storica figura del volontariato torinese e nazionale, difensore appassionato ed indomabile dei diritti degli ultimi, dei più deboli e degli anziani non autosufficienti.
Francesco era nato a Torino nel 1928, nel 1962, assieme a Bianca Guidetti Serra, ha fondato l’Anfaa, di cui è stato presidente fino al 1971. Scrittore di numerosi libri, redattore della rivista «Prospettive assistenziali», è stato un riferimento indimenticabile per tutti coloro impegnati a difendere gli ultimi. Lo vogliamo ricordare su queste pagine pubblicando alcuni suoi scritti e di amici comuni.
Ciao Santanera
E’ difficile dire addio a Francesco Santanera per la sua lunga vita dedicata a difendere le persone più deboli, più esposte all’erosione dei diritti: era questo il suo prossimo. (da leggere da Sindacalmente QUI)
Santanera presidente dell’Associazione Promozione Sociale ha scritto una lettera a La Stampa: «Mentre vi sono centinaia di famiglie prive di una abitazione idonea, nello stabile di Torino, lungodora Voghera 134 c’è un appartamento delle Case popolari di 10 vani vuoto da anni. «Nello stesso tempo presso l’Istituto di riposo per la vecchiaia sono inutilizzati da mesi 24 posti letto per anziani non autosufficienti, nonostante che detti malati vengano inviati in strutture situate anche a cento chilometri da Torino, stante la mancanza di circa duemila posti letto nella nostra città».
Uno scritto di Francesco sulla sua rivista
COME MAI È STATA DIMESSA DALL’OSPEDALE MAGGIORE DI PARMA UNA SIGNORA NON AUTOSUFFICIENTE PRIVA DI SOSTEGNI FAMILIARI?
In data 26 giugno 2007 Luigi Giuseppe Villani, Consigliere della Regione Emilia Romagna, ha presentato una interrogazione «sul caso di una donna di 62 anni, che vive sola, la quale (ricoverata la sera di venerdì 8 giugno 2007 all’ospedale Maggiore di Parma, per una delicata frattura in zona pubica dovuta a una caduta) sarebbe stata dimessa (il giorno successivo) con la raccomandazione di rimanere immobile e la prescrizione di iniezioni, nonostante fosse impossibilitata ad essere assistita dai familiari e in condizioni di difficoltà economiche».
Il Consigliere fa sapere che «la notte seguente alla dimissione, sarebbero stati i vicini di casa a prestarle soccorso allertati dalle urla di dolore della donna che, non potendosi muovere, chiedeva aiuto» ed ha chiesto alla Giunta «perché data la situazione, la paziente sia stata dimessa “a poche ore dal ricovero” e se, al momento del congedo, ne siano state adeguatamente accertate le condizioni cliniche e sociali, in modo da disporre l’immediata attivazione del sistema di integrazione socio-sanitaria con servizi idonei a questo particolare caso». Ai quesiti posti dalla interrogazione del Consigliere Villani, il competente Assessorato della Regione Emilia Romagna può dare una risposta anche a noi?
Le iniziative a Parma con Francesco Santanera
Le nostre rivendicazioni
Il Servizio sanitario nazionale è obbligato, in base alle leggi vigenti, a curare tutte le persone malate, siano esse giovani o adulte o anziane, colpite da patologie acute o croniche, guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti.
Dunque, la cura delle persone con la malattia di Alzheimer, o con altre forme analoghe, spetta alla sanità.
Sempre in base alle leggi vigenti, i congiunti dei malati non sono obbligati a svolgere le attività di competenza del Servizio sanitario nazionale e, quindi, non hanno alcun obbligo giuridico di sostituirsi alla sanità.
ATTENZIONE – Sotto il profilo giuridico accettare le dimissioni da ospedali e da case di cura private convenzionate di una persona cronica non autosufficiente incapace di programmare il proprio futuro, significa sottrarre volontariamente il paziente dalle competenze del servizio sanitario nazionale e assumere tutte le relative responsabilità, comprese quelle penali, nonché gli oneri economici conseguenti alle cure che devono essere fornite al malato.
Com’è ormai riconosciuto, sono preferibili, nell’interesse del malato, le cure domiciliari nei casi in cui non debbano essere fornite prestazioni che richiedano personale specializzato e strumentazioni particolari.
Al riguardo, le Asl più rispettose delle esigenze dei malati assicurano adeguate prestazioni domiciliari sia mediche che infermieristiche e, occorrendo, riabilitative. Inoltre, dette Asl riconoscono il volontariato intrafamiliare e versano a coloro che provvedono alle cure domiciliari una somma quale rimborso forfetario delle spese sostenute.
Nei casi in cui le persone malate, compresi gli anziani non autosufficienti ed i malati di Alzheimer, siano ricoverati presso ospedali o case di cura private convenzionate, gli stessi degenti se in grado di esprimersi o, in caso contrario, i loro congiunti, possono rifiutare le dimissioni se permane lo stato di malattia acuta o cronica con o senza autosufficienza.
Alcune considerazioni importanti:
Le persone a cui si indirizzano le lettere di cui sopra faranno il possibile per non rispondere per iscritto in modo da non assumere impegni ed evitare questioni con l’autorità giudiziaria.
Chi vuole impedire le dimissioni deve essere molto deciso e deve chiedere una risposta scritta.
Allo scopo di avere le prove delle richieste avanzate, si deve sempre o inviare lettere raccomandate con ricevuta di ritorno o telegrammi (il fax non va bene perché si ha la prova di averlo spedito ma non quella che sia stato ricevuto).
Se si hanno degli incontri con medici, assistenti sociali o altri operatori, è consigliabile non assumere mai impegni verbali o scritti. Inoltre, subito dopo ogni incontro, è opportuno inviare un telegramma così redatto: «A seguito dell’incontro di ieri, di cui ringrazio, confermo la mia opposizione alle dimissioni come ho chiesto nelle raccomandate da me inviate in data … di cui attendo risposta scritta».
Se viene presentata dai medici e da altri operatori documentazione da firmare, è consigliabile inviare fotocopia al Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti della Fondazione Promozione sociale che la prenderà in esame allo scopo di segnalare eventuali problemi.
Il ricovero presso ospedali e case di cura private convenzionate deve sempre essere gratuito.
I trasferimenti da una struttura all’altra devono essere fatti a cura e spese del Servizio sanitario nazionale.
Quasi sempre, il personale delle Asl o dei Comuni propone il ricovero degli anziani cronici non autosufficienti e dei malati di Alzheimer presso Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), case protette o altre strutture analoghe.
Si tratta di strutture del settore socio-sanitario (con caratteristiche molto diverse da quello sanitario), il cui accesso è vincolato dal parere favorevole rilasciato dalle Uvg (Unità valutative geriatriche) che sono commissioni istituite dalle Asl.
Ottenuto il parere favorevole dell’Uvg, il malato viene inserito in liste di attesa, e può aspettare anche uno o più anni prima di essere ammesso in una Rsa.
Nel frattempo, se si accettano le dimissioni, la persona che le ha accolte deve provvedere a curare il malato con i mezzi economici del malato stesso e, se essi non sono sufficienti, con le proprie risorse. Le cure possono essere fornite sia a domicilio che presso Rsa. Se si tratta di Rsa la retta è interamente a carico del malato e di chi ha accettato le dimissioni: può arrivare anche a 3.000-3.200 euro al mese. Infatti, nei casi in cui il ricovero nelle Rsa venga disposto al di fuori della lista di attesa, le Asl non versano la quota sanitaria. (IMPORTANTE: si propone una lettera facsimile per richiedere all’Asl il il versamento della quota sanitaria: cliccare qui).
Invece, quando il ricovero nella Rsa viene concordato con l’Asl, la quota sanitaria viene corrisposta dall’Asl stessa, mentre il ricoverato deve versare la retta chiamata alberghiera.
Se si sottoscrive un accordo con la Rsa (o altra struttura) in cui il malato è ricoverato, chi lo firma stipula un contratto privato con l’ente e quindi, salvo eccezioni, è obbligato a rispettarlo per tutta la durata del ricovero.
Segnaliamo che gli operatori dei servizi sanitari e sociali sono personalmente responsabili dei danni derivanti da loro errate informazioni. Pertanto coloro che sono in grado di comprovare (tramite scritti o testimonianze di persone non legate da vincoli di parentela o di affinità) le negative conseguenze economiche subite a seguito di informazioni errate, possono rivolgersi all’Autorità giudiziaria per il rimborso delle spese sostenute, ad esempio per il ricovero “privato” in una Rsa con oneri (quota sanitaria e quota alberghiera) interamente a carico del paziente o di chi lo rappresenta.
GLI ANZIANI DEFINITI CRONICI VENGONO CALPESTATI NEI LORO DIRITTI
(Estratto dal n. 44 di Prospettive assistenziali)
Negli ultimi anni larghi strati dell’opinione pubblica sono stati sollecitati a porsi in posizione critica per quel che riguarda l’istituzionalizzazione. Si è così operato in una prospettiva alternativa agli istituti: l’adozione dei bambini abbandonati invece del ricovero in istituto, l’inserimento scolastico e lavorativo e sociale degli handicappati, la legge di chiusura dei manicomi, una prevenzione sanitaria e sociale nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Sono state avviate anche alcune iniziative nei riguardi degli anziani autosufficienti: assegnazione di alloggi della edilizia economica e popolare (v. leggi n. 865 del 22 ottobre 1971 e n. 513 dell’8 agosto 1977), contributi economici ordinari diretti ad assicurare il minimo vitale e straordinari diretti a coprire particolari esigenze (1), l’aiuto domestico, l’assistenza infermieristica domiciliare oltre che ambulatoriale, le comunità alloggio inserite nel normale contesto abitativo.
Questa sollecitazione, che è seguita alla lotta di alcuni gruppi, ha portato a risultati molto positivi, anche se c’è ancora moltissimo da fare per arrivare a una situazione soddisfacente per l’utenza, soprattutto per quanto concerne l’eliminazione delle cause che provocano le richieste di assistenza.
Ma nel campo degli anziani definiti cronici, poco è stato fatto e i problemi restano tutti da risolvere. Si tratta di un grande numero di persone che, se l’andamento dell’età media crescerà, aumenterà ancora.
Non si è fatto nulla per alleviare le sofferenze e curare la salute di questi cittadini che sono i più indifesi, a causa del decadimento fisico e psichico; spesso abbandonati a loro stessi perché soli (2) o ignorati dai loro familiari. Anzi proprio perché bisognosi di cure e di assistenza vengono fatti oggetto di speculazione dagli istituti di assistenza sia privati che pubblici. Tra questi le IPAB che per politica di prestigio e di potere clientelare non solo cercano di sopravvivere, ma di accrescere il loro campo di azione, strumentalizzando spesso la dedizione del personale laico o religioso e sfruttando il più delle volte un personale sottopagato, insufficiente, senza preparazione alcuna e sovente anche privo di una sistemazione lavorativa stabile e perciò sottoposto a minacce e ricatti, in contrasto con l’obiettivo di benessere e di salute dei ricoverati.
Questa posizione degli istituti di assistenza trova complicità nell’inerzia e nella totale indifferenza del Governo, del Parlamento, delle Amministrazioni regionali e locali; così che le aspirazioni ad una gestione dei servizi sanitari in funzione degli interessi reali della popolazione, ripetutamente manifestate a livello verbale, non solo non hanno trovato soddisfazione ma sono state sistematicamente contraddette.
In particolare la situazione sanitaria nei confronti della patologia della vecchiaia è gravemente carente.
Una mutualità frantumata per categorie e differenziata per prestazioni, una politica di prestigio e di potere di numerose amministrazioni ospedaliere, una degenerazione mercantile della classe medica, una pratica medica sempre più differenziata secondo il censo dei pazienti non è certo portata a recepire i bisogni dei più deboli.
A questa categoria appartengono gli anziani cronici poveri (quelli che godono di appoggi o protezione potranno sfuggire a certe condizioni di emarginazione).
Nell’organizzazione ospedaliera vengono dimessi o non ammessi perché di solito non graditi ai medici mutualistici o specialistici troppo occupati negli aspetti burocratici e tecnici della malattia, e poco attenti al valore etico ed umano della persona, e neppure graditi dal personale paramedico ed infermieri che vedono nei cronici solo un aggravio delle loro mansioni. Nello stesso tempo con una assistenza sanitaria che non riesce a far fronte ai suoi compiti di segnalare, prevenire, curare e riabilitare, saranno sempre gli stessi anziani che vedranno accelerato il loro decadimento fisico e psichico così da esser costretti al ricovero in cronicario. Qui l’istituzionalizzazione, carente di un accertamento operativo verso i problemi personali, emarginandoli dalla loro vita di sempre con gli altri, sarà un ulteriore elemento per l’aggravamento delle loro condizioni.
Prevenzione
Ne deriva una prima considerazione: anche gli interventi contro la cronicità non possono essere disgiunti da una lotta contro l’emarginazione e la segregazione. Non basta quindi mettere in atto una serie di servizi di prevenzione nei riguardi degli anziani, se questi interventi servono solo ad isolare l’anziano e non ad aiutare ad una piena realizzazione della propria personalità. Occorre quindi che la prevenzione sia di tutti e per tutti e cioè diretta ad assicurare «il massimo benessere fisico, psichico e sociale» secondo la famosa definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Prevenire significa porsi l’obiettivo dell’eliminazione delle cause che provocano malattie, handicap, disadattamento, emarginazione.
La prevenzione non è pertanto un intervento esclusivamente o prevalentemente sanitario e deve attenuare gli ostacoli sociali: riguarda perciò tutti i settori sociali: lavoro, casa, scuola, cultura, assetto del territorio, ecc. (3).
Provvedimenti nei confronti dei cronici
Oggi le persone definite croniche (si tratta soprattutto di anziani, ma lo stesso problema si pone anche nei riguardi degli handicappati) sono sbattute (è la parola che esprime più compiutamente quel che avviene) fuori dagli ospedali o non vi sono ammesse anche quando esse hanno bisogno di cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio.
Si ritengono illegittimi i provvedimenti di dimissione o di non ammissione operati dagli Enti ospedalieri nei confronti degli anziani definiti cronici perché:
1) già l’on. Vigorelli nella relazione al Senato sulla legge 4 agosto 1955, n. 692, «Estensione dell’assistenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia» commentando l’art. 3 («… tale assistenza spetta senza limiti di durata nei casi di malattie specifiche della vecchiaia») mise in evidenza come dato di fatto che la «condizione fisica dei pensionati richiede prestazioni sanitarie del tutto particolari, almeno per quanto riguarda la durata dell’erogazione delle prestazioni medesime»;
2) con il decreto del Ministero del lavoro 21 dicembre 1956 «Determinazione delle malattie da considerarsi specifiche della vecchiaia» vennero determinate le malattie « specifiche » della vecchiaia per l’applicazione dell’art. 3 legge 4 agosto 1955 n. 692 e fu ribadito che «le manifestazioni morbose di cui al precitato elenco sono assistibili senza limiti di durata, dopo l’età pensionabile, purché siano suscettibili di cure ambulatoriali e domiciliari. Per tali forme morbose è analogamente concessa l’assistenza ospedaliera, quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche e chirurgiche non siano normalmente praticabili a domicilio, ma richiedano apprestamenti tecnici e scientifici ospedalieri».
A giustificazione delle dimissioni e delle non ammissioni al ricovero ospedaliero, gli Enti ospedalieri ritengono (arbitrariamente) obbligatoria l’applicazione dell’art. 3 della legge 4 agosto 1955 n. 692 per i soli casi di malattie acute.
Risulta evidente l’arbitrarietà dell’applicazione dell’articolo di cui sopra in quanto:
- a) è ben vero che esisteva (circolare del 1953 n. 4 dell’I.N.A.M.) una disciplinasull’assistenza mutualistica che fondava, tra l’altro, sulla distinzione tra malattie «acute» e «croniche» il regolamento delle diverse prestazioni sanitarie dovute. Ma, a ben interpretare la circolare, risulta chiaramente che tale distinzione fu un parametro puramente cronologico-medico. Con la definizione di cronicità non si volle assolutamente statuire un nuovo criterio per stabilire chi avesse, o meno, la possibilità di avvalersi di un diritto all’assistenza, diritto che la legge 692 del 1955 attribuisce a tutti indistintamente.
- b) La legge n. 692 volleinfatti chiaramente eliminare (e così innovare alle precedenti prassi) ogni distinzione tra le varie forme e stadi di malattie statuendo il principio della «assistenza senza limiti di durata» (4-5); non sarebbe quindi possibile, neppure volendolo, far conciliare due disposizioni di per se stesse opposte e contrastanti (quali la circolare I.N.A.M. e la legge numero 692).
- c)Il D.M. 21-12-1956, che stabilisce quali siano le malattie da considerarsi specifiche della vecchiaia, statuisce al 3° comma che «l’assistenza ospedaliera è analogamente (“senza limiti di durata”) concessa quando gli accertamenti diagnostici, le cure mediche o chirurgiche non siano normalmente praticabili adomicilio ma richiedano apprestamenti tecnici o scientifici ospedalieri».
Obblighi degli Enti ospedalieri
Ne deriva che il diritto al ricovero ospedaliero «senza limiti di durata» non è condizionato da alcun requisito di «acuzie» della malattia, bensì dal requisito della necessità di cure od accertamenti «non normalmente praticabili a domicilio».
In altre parole, nasce l’obbligo per gli Enti ospedalieri in relazione al ricovero, o meno, di utilizzare un criterio che ben supera e annulla quello della semplice constatazione medica dello «stadio» della malattia. Il criterio della necessità (6), infatti comprende una valutazione complessiva delle condizioni del malato che parte dalla considerazione dello stato morboso per involgere, poi, fattori di diversa e complessa natura, quali ad esempio, la possibilità o meno, a seconda delle strutture sanitarie e sociali e delle condizioni soggettive, economiche, familiari del malato di proseguire le cure in via ambulatoriale o domiciliare (7). In definitiva il concetto di «cronico» non è più da valutarsi come «malattia a lungo decorso non guaribile», ma come malattia che implica una valutazione dell’individuo nella sua globalità fisica, psichica, sociale.
Il cronico non dovrebbe più essere un «deposito» e un peso per gli ospedali, né un cliente temporaneo con pessimo trattamento.
A ben vedere l’introduzione di questo nuovo concetto della necessità ha forse voluto anche ricordare che le affezioni del vecchio divengono più o meno invalidanti sia in relazione al tipo di lesione sia, e soprattutto, in rapporto al trattamento realizzato, alla tempestività e continuatività dell’attuazione delle pratiche riabilitative. Infatti un adeguato trattamento ospedaliero può prevenire la cronicizzazione e quel deterioramento psichico che si verifica nei vari istituti per i vecchi (8).
Alla luce di queste considerazioni e di quanto stabilito dal D.M. 21-12-1956 e dall’art. 41 legge 12-1-1968 n. 12, appaiono ancora più illegittime le dimissioni dei malati anziani «cronici» quando non sia valutata la «necessità» del ricovero e considerata la possibilità, da valutare in relazione alle condizioni reali esistenti, di poter praticare le cure a domicilio o in ambulatorio.
È da notare quanto il requisito giustificativo del ricovero, «stato di necessità», sia ancor più incidente «oggi» nel caso di persone affette da malattie specifiche della vecchiaia: il ricovero è, infatti, quasi sempre, l’unica alternativa alla possibilità di usufruire o di cure «normalmente praticabili» a domicilio, o quanto meno di altre forme assistenziali pubbliche.
- d) Infatti gli anziani affetti da malattie « croniche », che dovrebbero poter usufruire maggiormente del diritto all’assistenza gratuita pubblica, come ogni altro ammalato, nonostante che la legge n. 692/1955 li abbia resi titolari di un particolare diritto e privilegio nei confronti degli altri assistiti, vengono troppo spesso e troppo presto abbandonati perché dimessi dagli ospedali arbitrariamente, senza avere a disposizione alternative assistenziali pubbliche. Sono costretti, così, una volta dimessi dagli ospedali, a ricorrere ad istituti di assistenza, il più delle volte a proprie spese (9).
Ciò è in contrasto non solo con tutto quanto detto fin d’ora, ma con diverse leggi relative agli enti ospedalieri che più volte ribadiscono il «diritto» per il «cronico» ed il «lungodegente» ad un’assistenza ospedaliera pubblica. Statuisce la legge 12-2-1968 n. 12 art. 1: «L’assistenza ospedaliera pubblica é svolta a favore di tutti i cittadini…». Art. 2: «Sono Enti ospedalieri gli Enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero e alla cura degli infermi». Art. 3: «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e gli altri Enti pubblici, che al momento di entrata in vigore della presente legge, provvedono esclusivamente al ricovero e alla cura degli infermi, sono riconosciuti di diritto Enti ospedalieri. Sono pure costituiti in Enti ospedalieri tutti gli ospedali appartenenti ad Enti pubblici che abbiano come scopo oltre l’assistenza ospedaliera anche finalità diverse». Art. 20: «Gli ospedali sono generali e speciali, per lungodegenti e per convalescenti». Art. 22: «Sono ospedali generali quelli dotati di distinte divisioni di medicina generale, di chirurgia generale … geriatria e per ammalati lungodegenti, salvo che ad alcune di dette specialità non provvedano ospedali specializzati viciniori». Art. 25: «Gli ospedali per lungodegenti e per convalescenti sono classificati come ospedali di zona o provinciali in relazione alle indicazioni del piano regionale ospedaliero… Gli ospedali per lungodegenti e per convalescenti devono, inoltre, possedere ogni altro servizio previsto per le corrispondenti categorie degli ospedali generali, in quanto necessari alla specifica natura dell’ospedale». Art. 29: «Ciascuna regione provvede a programmare i propri interventi nel settore ospedaliera… ed indica la previsione degli interventi regionali relativi all’impianto di nuovi ospedali, alla trasformazione, ammodernamento o soppressione degli ospedali esistenti in relazione al fabbisogno dei posti letto distinti per acuti, cronici, convalescenti, lungodegenti…». Viene infine ribadito all’art. 14 «Le norme concernenti l’ordinamento interno dei servizi dovranno disciplinare: a) l’ammissione e dimissione degli infermi ispirandosi al principio della obbligatorietà del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità…».
Le prestazioni ospedaliere dovute a favore dei cronici e lungodegenti vengono ribadite nel D.M. 13-8-1969, ove sono più volte nominate divisioni e sezioni per lungodegenti nella previsione di un quadro di una rete ospedaliera che assicuri ogni forma di assistenza in relazione alle esigenze della popolazione.
Infine, di notevole importanza è la legge 17-81974 n. 386, la quale precisa all’art. 12: «I compiti in materia di assistenza ospedaliera degli Enti anche previdenziali che gestiscono forme di assistenza contro le malattie, nonché delle casse mutue anche aziendali, comunque denominati e strutturati, sono trasferiti alle Regioni a statuto ordinario … le quali erogano le relative prestazioni in forma diretta e senza limiti di durata agli iscritti e rispettivi familiari avvalendosi degli Enti ospedalieri, nonché a seguito di convenzioni, delle cliniche ed istituti universitari, degli istituti di ricovero e di cura…».
Questa nuova legge non solo dimostra l’esattezza di quanto affermato da noi finora, ma fa cadere ogni eventuale problema interpretativo di tutte le leggi ad essa precedenti. Infatti, l’art. 12 legge 1974 evolve ed amplia il concetto stesso di «assistenza senza limiti di durata» non circoscrivendolo più (come nella legge n. 692/1955) alle sole persone in età pensionabile. Finalmente viene esplicitamente prevista e statuito un diritto di tutti ad un’assistenza ospedaliera, senza alcuna discriminazione!
Pertanto, alla luce di questa nuova disposizione legislativa, appare ancora più illegittimo il voler sostenere che qualora il soggetto non sia più suscettibile di recupero (cioè cronico) l’ospedale non ha più obblighi né competenze di somministrare mezzi terapeutici.
Per non scordare, poi, che quanto sinora affermato «giuridicamente», è altrettanto valido da un punto di vista medico. Il diritto all’assistenza ospedaliera non può non essere relativo a tutti, sempreché la cura non possa essere fornita a domicilio o in ambulatorio.
Ogni malattia è sempre suscettibile di cure anche se si tratta di malattie inguaribili. Non esiste malattia di fronte alla quale non si possa prescrivere una terapia efficace, suscettibile cioè di provocare un effetto: l’efficacia terapeutica non va confusa con la guaribilità.
Voler sostenere poi che l’assistenza deve essere limitata «alle manifestazioni acute del morbo», costituisce anche un apprezzamento atecnico degli stessi fini della medicina.
A conclusione ribadiamo, dunque, l’evidente illegittimità dell’operato degli Enti ospedalieri che non accettano di ricoverare o dimettono le persone dichiarate «croniche».
Per quanto concerne i contenuti dei servizi sanitari e assistenziali, facciamo riferimento alla proposta di legge regionale di iniziativa popolare n. 347 «Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione delle unità locali di tutti i servizi», presentata al Consiglio regionale piemontese il 21 luglio 1978 con 13.000 firme (10).
Proposte di intervento
Proponiamo ai movimenti di base interessati di sollecitare ovunque sia possibile iniziative ed interventi perché siano riconosciuti agli anziani cronici i diritti sanciti dalle leggi vigenti: azione informativa pubblica (volantini, articoli su giornali, radio e televisioni di Stato e private), informazioni specifiche nei confronti degli interessati e dei loro parenti, degli operatori sanitari degli ospedali e del territorio, degli Amministratori regionali e comunali, dei Sindacati dei lavoratori.
Nei casi in cui queste o altre iniziative non portino a risultati concreti, riteniamo che non siano da escludere ricorsi alla Magistratura sia su casi specifici di persone illegittimamente dimesse dagli ospedali, sia sull’arbitrio di giustificazioni di dimissioni o non ammissioni.
Il problema è, a nostro avviso, molto urgente perché se, come speriamo, entrerà presto in funzione la riforma sanitaria si può consolidare l’illegale prassi attuale che, calpestando i diritti degli anziani ammalati cronici, contribuirà a favorire lo sviluppo degli istituti privati di assistenza.
Inoltre il passaggio delle IPAB ai Comuni (11) può portare a un sovraccarico di personale assistenziale: di qui la necessità di porre al Sindacato il problema della mobilità non solo all’interno del settore assistenziale per i servizi alternativi al ricovero, ma di estenderla al settore sanitario.
(1) Si veda la delibera del Comune di Torino pubblicata sul n. 44 di Prospettive assistenziali.
(2) Si tenga conto che i nuclei familiari composti da una sola persona sono, in una città attiva come Torino, ben 141.627 sul totale di 471.040 nuclei e cioè il 30%; la popolazione complessiva di Torino è di 1.181.853 abitanti (dati relativi al 31-12-1977).
(3) Sul piano istituzionale questa posizione porta alla richiesta dell’Unità locale di tutti i servizi di base.
(4) Relazione dell’on. Vigorelli, art. 3 della legge 692: «La condizione fisica dei pensionati richiede, peraltro, prestazioni sanitarie del tutto particolari, almeno per quanto riguarda la durata dell’erogazione e delle prestazioni medesime. (È più che evidente che non ha senso parlare di stato acuto o cronico in relazione alle malattie tipiche della vecchiaia in quanto la maggior parte di esse è di per sé “non suscettibile di recupero o guarigione”). È da una visione umanitaria di tali situazioni che è scaturita la formulazione dell’art. 3, il quale… rimuove qualsiasi limite di durata per le malattie specifiche della vecchiaia».
(5) V. anche C. Stato Ad – Gen. 22 novembre 1971 «Le malattie specifiche della vecchiaia sono assistibili senza limiti di durata purché dopo l’età pensionabile».
(6) Criterio ribadito dall’art. 41 legge 12-1-1968, n. 132, il quale per determinare l’ammissione e dimissione degli infermi, stabilisce il principio della «obbligatorietà» del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità.
(7) V. anche la sentenza del Tribunale di Savona del 31 maggio 1958: «Il ricovero deve essere necessario soggettivamente e non oggettivamente, perché l’ammalato non è in grado di discutere la diagnosi del dottore e nemmeno sono in grado di farlo a distanza di tempo i medici dell’INAM e tanto meno i suoi dipendenti del ramo amministrativo, in quanto anche una malattia che normalmente può essere curata in casa può rendere necessario il ricovero del malato in ospedale». Foro It. 1959/1859.(8) Le sindromi psichiche da disadattamento (in istituti) recano con sé notevoli manifestazioni negative: dalla regressione, alla perdita dell’autosufficienza, all’accentuato decadimento fisico, alla comparsa di atteggiamenti aggressivi, reattivi, depressivi.
(9) Ricordiamo che la maggior parte di questi istituti di ricovero per i vecchi, anche se annessi alle opere ospedaliere, hanno rette piuttosto alte. Molte case di cura hanno, infatti, favorito sempre più il ricovero dei vecchi malati cronici per poter fruire delle rette elevate; alcuni istituti sono ridotti a veri e propri cronicari.
(10) V. Prospettive assistenziali, n. 43.
(11) Dovrebbe essere evidente che le IPAB che gestiscono istituti di ricovero per anziani non «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo religiosa» e che perciò dovrebbero essere trasferite tutte alle regioni e ai comuni.
ALLEGATO 2
INIZIATIVE CONTRO LE DIMISSIONI DAGLI OSPEDALI DI ANZIANI CRONICI
(Estratto dal n. 46 di Prospettive assistenziali)
Segnaliamo le iniziative assunte dai Comuni di Brescia e di Torino contro le illecite dimissioni di anziani cronici dagli ospedali, per sottolinearne la tempestiva validità.
Le dimissioni dagli ospedali di anziani, che abbisognano ancora di cure non praticabili a domicilio o in ambulatorio rischiano di essere la sola strada praticata per consentire agli ospedali di ridurre le spese, le giornate di degenza, la mortalità, il carico di lavoro del personale sanitario, parasanitario e inserviente e violano i diritti degli anziani stessi (1).
Si tenta in sostanza di non modificare le condizioni di fondo che determinano i costi assurdi e l’inefficienza del nostro sistema sanitario, ma di scaricare sui più deboli, come sempre avviene, i rilevanti ritardi della riforma ospedaliera che ha completamente disatteso le aspettative.
Gravissime sono state le conseguenze. A Torino dal 1974 un gruppo di parenti di cronici ricoverati nell’Istituto di riposo per la Vecchiaia di Torino (700 posti letto) si rifiutava di pagare la retta (attualmente di L. 15.000 al giorno), asserendo – giustamente – che le spese dovevano essere attribuite al settore sanitario, essendo il ricovero dovuto a situazioni di non salute.
Fermo restando questo principio, in via di transazione è intervenuto un accordo fra l’istituto suddetto, il Comune di Torino e i parenti in base al quale le rette arretrate sono ridotte del 50%: in sostanza la quota di retta dei cronici a carico degli interessati e dei parenti tenuti agli alimenti è dello stesso importo della retta per gli autosufficienti.
Si tratta ora di estendere questo accordo a tutti i cronici ricoverati in istituto; nello stesso tempo occorre far attuare le leggi vigenti per impedire che gli ospedali dimettano o non ricoverino gli anziani cronici compresi quelli non riabilitabili.
Ciao Francesco
Queste erano le tue e nostre posizioni tanti anni fa. Purtroppo la situazione oggi non è cambiata. Tutto ricade sulle famiglie disperate. Gli anziani malati sono abbandonati. Stipati in case di riposo troppo piccole, accuditi, se così si può dire, in residenze sanitarie, le Rsa, con poco personale. A Bologna lo scorso ferragosto (2022) i carabinieri del Nas hanno scoperto una struttura dove c’erano tre operatori per cinquanta ospiti.
Nelle cucine di due Rsa a Pavia, hanno trovate le blatte alias scarafaggi. In un’altra di Cremona, erano occupati nove letti in più rispetto ai 55 previsti. Su 351 strutture controllate in piena estate, una su su 5 aveva dei problemi. Le associazioni dei familiari continuano a protestare per i loro parenti “isolati dal mondo, che passano una vita in un letto”. E gli infermieri mancano. Così on meno infermieri la qualità dell’assistenza peggiora. Tu Francesco dall’alto dei cieli aiutaci ancora a a lenire tutte queste sofferenze. Ciao Francesco.