Un Breve Sguardo su una Vicenda Umana: di “Carlo Casti”

Emanuele Ballarin – Battaglia di Neve

Presentare (recensire è una parola grossa, forse) questo interessante racconto di memorie ha un suo fascino. Partiamo dalla facilità di lettura dell’appariscente tomo, che scorre via veloce, con sequenze inattese e il filo della narrazione che a volte intriga come fosse un film d’azione, ed in qualche modo lo è. Il volume è BATTAGLIE DI NEVE – Ricordi di un cocainomane.


Emanuele Ballarin è l’autore e Giordana Ungaro ne ha raccolto la testimonianza.
Il racconto lo conduce Lele, voce narrante e reale protagonista di ogni evento descritto: un autentico ‘primo attore e lottatore’.

Nelle primissime pagine, Lele, un tredicenne di Venezia, nativo dell’isola lagunare di Pellestrina mostra subito di che pasta è fatto. Si rifiuta in maniera decisa e inequivocabile di andare in seminario a “studiare da prete”, poi scappa fisicamente da chi lo voleva instradare verso la vita sacerdotale: il prete della parrocchia, il padre e soprattutto la madre, da cui cercherà di scappare sempre. In qualche modo è questo il leit motiv della storia, l’impossibile relazione con la figura materna, che torna come un tarlo più e più volte.


Lele è un ragazzo intelligente, bello, furbo, capace, sempre bravo a scuola, con grandi successi nello sport e con le ragazze.

Assapora i primi amori ed è un vero trascinatore, oltre che uno scaltro leader nel calcio e con gli amici: è proprio quello che guida il gioco, a volte spinto dalla furbizia più che dalla lealtà.

L’euforia e le costanti fortune, assieme al distacco da quella famiglia che incarna una pesante spina nel fianco per quest’uomo in crescita, creano una specie di camminamento forzoso che – inquadrando la propria figura in una ottica di rivalsa personale volta alla rivendicazione di un sé diverso da come altri, madre, famiglia, società, lo vorrebbero – conducono Lele all’incontro prima con l’erba, poi con l’ecstasy e poi, quasi fosse un destino segnato, con la cocaina.

È a questo punto, pur tra euforie, viaggi, lavori interessanti e successi, che il “nostro” si lascia trascinare senza opporre resistenza e, probabilmente, senza più una vera volontà che lo indirizzi, in un vortice che lo porterà lontano – anche da se stesso.


Incontri che segnano amicizie apparentemente eterne, azioni sempre più borderline, eventi che appaiono quasi affascinanti, di quel fascino oscuro degli accadimenti che segnano i romanzi noir, punteggiano la narrazione, fino a descrivere oggi senza falsi pudori, anche qualche sbandamento di tipo imprenditoriale, allora vissuto nell’inerzia e non lucidamente analizzato, con l’incombente presenza – infiltrata pesantemente in ogni aspetto della sua vita – degli inquietanti universi che ruotano intorno a cocaina e dintorni.

Senza nulla nascondere anche degli aspetti meno onorevoli di tali mondi.


Il racconto, onesto sino allo strazio, si fa cupo e appare, forse, per quello che è: una sessione di autocoscienza che scava nella persona che Lele è stato.

Spontaneo mi è sorto un accostamento di questa storia a un riferimento letterario forse apparentemente un po’ avulso, che porta alla convinzione che “il mondo proceda sì per la sua strada, ma che non sia possibile sapere dove vada a finire” (da Uomini e topi, John Steibeck, 1937, traduzione di Cesare Pavese, Bompiani editore).


Proprio come nell’andamento delle tragedie greche, quando si giunge all’acme, Lele pare rendersi conto di essere giunto ad un punto tale di fallimento, su tutti i fronti, per cui si sente “quebrado”, un termine ispano-portoghese per cui è si è sfasciati, rotti, completamente spezzati.

Questo termine, che presenta un concetto di sfascio definitivo e totale, è riportato letteralmente dall’Autore che vi fa riferimento come a una delle tavole di salvezza alle quali s’aggrappa con la forza e la capacità di uscire dal tunnel.

A volte, chi scrive, si domanda perché scrivere e parlare di ferite e di cadute, di errori e di orrori vissuti.

Un po’ è stato anche il mio cruccio, ma tra il dire e il non dire, tra il tacere o il denudarsi, si è preferito dare voce a chi, con coraggio e con una consapevolezza nuova, appena acquisita, ha attraversato mari in tempesta, ombre e pericoli, e infine si stende al sole ad asciugare la propria anima: facendolo mette in risalto quel che è stato il viaggio, offrendolo in sacrificio a tutti, quale esempio di come, pur sbagliando, si può tornare a respirare.


Ora, Emanuele è un imprenditore, si è ricostruito una serenità, benedetta da quegli incontri che salvano.


Ha saputo farsi ascoltare, ha trovato tenerezza e amore: una moglie-compagna di vita, una figlia, e finalmente, come diceva il “maledetto” Bukowski, “La vita è dolce, se glielo concedi” (tratto da Musica per organi caldi, Feltrinelli Editore).

BATTAGLIE DI NEVE – Ricordi di un cocainomane
di Emanuele Battaglin
a cura di Giordana Ungaro
L’editore è Mamma Editori, Neviano degli Arduini (PR) – Costo: € 12.00 – Pagg. 362.