“Sostenibilità come passe-partout”: di Carlo Casti

“Sostenibilità come passe-partout”: di Carlo Casti

Sostenibilità come passe-partout Queste lievi ed ‘estive’ considerazioni sono una sintesi approssimativa e soggettiva di numerosi interventi di Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, che da diversi anni esprime perplessità e dubbi sull’uso e l’abuso del termine, emerso dal 1972 con la Conferenza dell’Onu a Stoccolma e sviluppato al Social Forum di di Porto Alegre nel 2001, per giungere a noi come un totem, se divinizzato o straziato forse sarà più chiaro alla fine di questo breve ragionamento.


Cosa contiene in realtà questo termine oramai abusato e sfruttato come ‘aggancio’ per pubblicizzare entità e prodotti?


Sarebbe utile fare una analisi seria e filologica della parola che (dalle automobili ai vegetali, dagli edifici alle bibite) punteggia regolarmente ogni momento della nostra giornata, anche per fare un po’ i sofisti à la page.


Chi o cosa ha iniziato a usare questo concetto nella nostra quotidianità? Certo non ha una storia infinita, dato che – quando si viveva in modo… sostenibile – nemmeno lo sapevamo.


Quindi. Partiamo dalla consapevolezza che siamo all’inseguimento di un ritorno a un mondo ideale e sostenibile da quando questo mondo ha iniziato a sbiadire.


Vero è che abbiamo cominciato a sapere di avere violato tutti i principi di sostenibilità quando abbiamo cominciato a vivere rincorrendo una oramai irraggiungibile armonia di una Arcadia mitizzata.


Cosa ci viene somministrato oggi ogni volta che viene inserito il richiamo della sostenibilità in un claim pubblicitario o accostandolo al nome di un prodotto commerciale? Innanzi tutto non qualcosa di correlato alla portata vera del concetto di sostenibile, che ha derivazione diretta dalla durata nel tempo, come accade quando si tiene pigiato il pedale del pianoforte (sustain), che allunga le note…

Già questa minima constatazione induce a credere che l’ideale per un mondo non così disastrato sarebbe semplicemente una ricerca seria di modalità di consumo, di acquisto, di uso, sempre meno improntate al ‘mordi e fuggi’ e sempre più alla conservazione: dell’ambiente, dell’agricoltura, delle cose e delle relazioni, in senso lato.


Come può un mondo essere – serve ripeterlo – sostenibile se amicizia, serietà nei rapporti, rispetto reciproco non sono nemmeno nel novero dei temi importanti? Se lo sfruttamento di risorse e l’accelerazione del lavoro – ai margini della legalità – sono fatti non solo tollerati ma addirittura giustificati e propugnati per raggiungere il profitto.


Rivedere quindi tutto ciò che viene proposto come sostenibile in questa ottica, forse aiuta a smascherare – come per il green washing dei vari finti e improvvisati ambientalisti – anche quei furbetti che inseguono promozione e vendite di auto potenti e di cibi processati, gabellandoli come appunto ‘sostenibili’.

Ma sarà poi … sostenibile tutto questo straparlarne? O, come diceva il saggio Rino Gaetano, “nun te reggae più”?


Carlo Casti