Tra palco e sovranismo alimentare (Bolivar 2): di Mario Boliva Pennelli

Tra palco e sovranismo alimentare (Bolivar 2): di Mario Boliva Pennelli

Il mondo è bello perché è Mario #2

Mi chiedo se le affermazioni che sento dire durante le grandi rassegne enogastronomiche dai nostri leader (politici, economici o civili non importa) siano dettate solo dalla loro ignoranza in materia oppure se, pur di fare becero populismo, quindi proselitismo, si permettano il lusso di dire assurdità che la scienza e la storia rigettano senza appello. Dio benedica la sovranità alimentare, si, ok. ‘Sta cosa qui potrebbe anche scivolarmi addosso – nomenclature aulic/comiche a parte – se però come popolo non soffrissimo, quando si parla di cibo, della sindrome di Pippo Baudo, quella del “l’ho inventato io!”

Pippo Baudo

Un esempio? La pasta? L’abbiamo inventata noi Italiani, stop! Il vino? Anche. Il formaggio? Pure. L’olio? Idem. L’acqua di fiume? Lo stesso. La vita, l’Universo e tutto quanto? Ma è chiaro, signora mia: sono tutti esempi dell’italico genio. 

L’Italia dopotutto è il Paese nel quale è possibile dire la qualunque e bisticciare su tutto, calcio, politica, economia, persino sulla medicina. Ma che nessuno metta in dubbio l’agroalimentare. Quell’argomento è tabù, forse l’ultimo tabù sopravvissuto fino ai giorni nostri, assieme alla bestemmia nei reality show. L’agroalimentare nelle sue infinite ramificazioni dopotutto è il solo argomento nel quale anche l’ultimo dei fessi può avere ragione su di uno scienziato che magari afferma un’ovvietà dal punto di vista chimico/fisico/scientifico (vedasi la querelle sulla pasta cotta nell’acqua a 100 gradi con fiamma spenta). Guai a strappare la tovaglia di Maya dagli occhi degli Italiani: se ne otterrebbe una levata di scudi, seguita da indignazione nazionale che a seconda dei casi trascenderebbe in sommossa popolare. Ed ecco che lo scienziato di turno sarebbe messo a tacere che Galileo Galilei scansate.

Eppure, perfino ‘sta cosa me la farei andar bene, perché, per carità, le inesattezze, per quanto pacchiane, laddove fossero in buona fede, sarebbero dette in nome di una giusta causa: quella della promozione, difesa e valorizzazione del nostro patrimonio gastronomico quindi economico e culturale.

Certo, questo non comporta necessariamente la volontà di rinchiudersi ostinatamente in convinzioni autoreferenziali e poco accurate volte a sostenere che: ogni prodotto di qualità l’abbiamo inventato noi, è inutile persino condurre ricerche in merito, il cibo è così, beati coloro che avranno creduto in noi senza averci mai messo in dubbio, eccetera.

Ma… ça va sans dire: meglio sparare inesattezze per tutelare il patrimonio gastronomico italiano che, ad esempio, per una guerra o un’invasione aliena, ergo, ripeto: bene così. Il problema però sorge quando a furia di lavorare coi paraocchi e di crederci i più fighi di tutti non ci mettiamo più in discussione, finendo per arrestare la nostra stessa crescita.

Ma questo è un altro discorso.

Il vero dramma è che i politici, gli amministratori (di condominio e non), i volti dei grandi sponsor (lunga vita agli sponsor eh, ma talvolta incidono anche loro sui brutti pasticciacci delle cronache gastronomiche), i blogger dell’ultima ora ed alcuni giornalisti di primo prezz… ehm di primo pelo, spesso attingono a piene mani da questa fonte miracolosa della comunicazione che è l’agroalimentare, maneggiando terminologie o sparando assiomi che non conoscono, sapendo perfettamente però che così facendo andranno a gratificare una filiera enorme, fiore all’occhiello del nostro Paese, un indotto gigantesco in termini economici e sociali, ma cosa ancor più importante, ben più importante, sapendo che con una semplice frase sempliciotta su questo argomento, detta in favore di telecamera, saranno in grado di arrivare immediatamente nelle case della gente, di chi li vota, di chi non li vota e di chi magari li voterà. Di chi li compra, non li compra e di chi magari li comprerà. Di chi li segue, non li segue e di chi magari li seguirà.

Diamo per buono che le affermazioni in favore di camera di politici, amministratori, sponsor, blogger, giornalisti, automobilisti, linotipisti (citaz) siano dette sempre in buona fede, ok, a questo punto sarebbero figlie solo della loro asineria. Certo, l’essere in buona fede non li assolverebbe dall’aver detto asinerie, però potrebbero rimediare, studiandoci sopra. Bene, mandiamoli al dopo-scuola. Ma chi si prenderebbe la briga di far loro da tutor? Beh, non so voi, ma io ritengo che il compito di chi fa informazione enogastronomica non debba essere solo quello di scroccare una bottiglia di vino dallo sponsor o di elemosinare l’organizzazione di qualche evento dall’amministratore di turno, bensì quello di ripassare assieme a loro qualche paginetta di prima media.

Ma il food-verse è grande, sconfinato, insondabile. E a noi piace proprio perché è vario.

Mario Bolivar Pennelli

Il mondo è bello perché è Mario (1)

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