Atterro a Milano che è quasi mezzanotte, felice per aver trovato subito posto sui voli di ritorno e per il bagaglio che stavolta ha viaggiato con me, ma un po’ infastidito nel constatare che, come sempre, non appena l’aereo spegne i motori impazziscono i telefonini. Gli abitanti di metà del mondo devono far sapere immediatamente a quelli dell’altra metà, che ce l’hanno fatta anche stavolta, che sono sani e salvi. Anch’io torno a casa, per fare i conti con la realtà che mi aspetta ogni volta che arrivo a Milano di notte e d’inverno. Il buio e il freddo, il mio golfino di cotone leggero che da solo non può bastare e il pensiero rivolto ai caloriferi che saranno gelidi, al frigorifero inesorabilmente vuoto e alle tapparelle desolatamente abbassate. Piove a dirotto, sono in strada davanti a casa e cerco le chiavi, finite regolarmente in fondo allo zaino. Salgo, apro la porta del mio gelido nido quel tanto che basta per infilarci il bagaglio fradicio e riesco nuovamente.
Le saracinesche abbassate dei negozi alimentari, sono il pretesto per bussare all’unico ristorantino che ancora non ha chiuso, dove abbuffarmi di affettati misti e gorgonzola, con un buon bicchiere di vino. Sono le cose che più mi mancano quando sono lontano dall’Italia, dopo la donna che amo. Sedermi a tavola prima di rientrare a casa è il segreto della felicità e il modo per rimettere in moto la vita di Milano un po’ alla volta. La sensazione è quella di essere ancora in viaggio, rimandando il confronto con le gioie e i dolori della posta arretrata e delle seccature varie, che inesorabilmente mi attendono ad ogni rientro e che, dopo un lungo periodo di beatitudine sembrano ancora più fastidiose. Anche non citare il nome dell’amica che più mi manca è una strategia. Serve per gettare le premesse di u divertente dibattito con alcune persone a me care, che vorranno sapere. Ma veniamo a noi: torno dal Messico dopo due giorni d viaggio, iniziato con un primo passaggio dall’amica in auto, tre voli intervallati da un trenino, qualche ritardo, due autobus, due tram e un ascensore. Il tutto rallegrato dalla pioggia incessante, che non mi lascia un attimo di tregua.
Ero partito da Madrid due mesi fa e, dopo uno scalo alla megalopoli di Città del Messico per rimpinzarmi di ottimi tacos, scendo all’aeroporto di San Josè del Cabo, ma non trovo l’amica Cristina ad attendermi. Strano! La ricordo puntuale e precisa, anche nelle sue ultime mail e nei suoi piacevolissimi articoli, pubblicati sulla rivista italiana per la quale scrive. Inizio a pensare dove posso aver sbagliato, forse l’uscita? Ricordo solo ora che mi aveva tanto raccomandato di passare dal lato sinistro dell’aeroporto, ma io da che parte sarò sbucato? Non so. Non ci vediamo da molti anni e né lei né io possiamo essere certi di riconoscerci a prima vista. Guardo intorno mentre cerco di ricordarmi le fattezze di Cristina e, come d’incanto, incontro due splendidi occhi azzurri che avanzano verso di me, ma come persi nella ricerca di qualcuno. Le chiedo: “Cris?” lei risponde col suo bel sorriso gioioso, il seguito è un lungo e caldo abbraccio liberatorio. Non me la ricordavo così carina e sono al settimo cielo. Col suo fuoristrada percorriamo la panoramica costiera, che sovrasta per tutta la sua lunghezza il paesaggio mozzafiato del golfo di California, suggestivo punto d’incontro tra le impetuose acque dell’oceano Pacifico ed il più calmo mar di Cortés. La mia mente vola alla maestosità di un fenomeno analogo ammirato a Cape Point in Sudafrica, dove l’oceano Indiano si confonde con l’Atlantico. Proseguiamo quindi per Cabo San Lucas fino ad un ristorantino messicano, dove ci siamo deliziati con altri tacos de pescado e non. Qui conosco la prima delle sue amiche, l’argentina Inès, che gestisce una pizzeria italiana dal nome curioso.
A Cabo San Lucas trascorro un lungo periodo nella Casa San Juan Diego con padre Arturo Garçia Fernandez, diocesano messicano di La Paz. Da molti anni assiste chiunque abbia bisogno, in questa grande comunitàche mi affascina subito. L’ho conosciuta grazie ad un’amica di Cristina, certa Esperanza, una gentile signora che ci ha lavorato per tanto tempo come pedagoga. Padre Arturo è coadiuvato dal suo braccio destro Josè Antonio, da Josè e basta, che è il braccio destro del braccio destro, Augusto l’insegnante, Luis Maria che si occupa dei niños, Nestor seminarista e incaricato di pubbliche relazioni, Gloria del comedor, Karina per la sicurezza e la limpieza, Elvira estetica ed Evelia amica di Esperanza. Al termine delle presentazioni padre Arturo mi chiede di partecipare ad una riunione, dove mi verrà spiegato com’è organizzata la comunità e quali saranno le mie priorità. Prima riunione quindi con tutte queste persone insieme.
Il A Cabo San Lucas trascorro un lungo periodo nella Casa San Juan Diego con padre Arturo Garçia Fernandez, diocesano messicano di La Paz. Da molti anni assiste chiunque abbia bisogno, in questa grande comunità che mi affascina subito. L’ho conosciuta grazie ad un’amica di Cristina, certa Esperanza, una gentile signora che ci ha lavorato per tanto tempo come pedagoga. Padre Arturo è coadiuvato dal suo braccio destro Josè Antonio, da Josè e basta, che è il braccio destro del braccio destro, Augusto l’insegnante, Luis Maria che si occupa dei niños, Nestor seminarista e incaricato di pubbliche relazioni, Gloria del comedor, Karina per la sicurezza e la limpieza, Elvira estetica ed Evelia amica di Esperanza. Al termine delle presentazioni padre Arturo mi chiede di partecipare ad una riunione, dove mi verrà spiegato com’è organizzata la comunità e quali saranno le mie priorità. Prima riunione quindi con tutte queste persone insieme. Il giorno dopo singolarmente con ognuna di loro, per un ulteriore e più dettagliato approfondimento. Mi ricorderò qualche nome?
Il terzo giorno al lavoro con un’esperienza molto positiva, che cercherò di replicare in altre realtà. In compagnia del giovane volontario americano Dan, vado con un furgone tra i più lussuosi hotel della città, per ritirare l’enorme quantità di ottimo cibo non consumato negli elegantissimi self service, subito dopo il pranzo. Per accedere a questi esclusivi hotel, dove soggiornano americani facoltosi, si attraversano tre posti di blocco sorvegliati da polizia privata e, per entrare nelle immense cucine, occorre vestirsi come per una sala operatoria. Tutte le prelibatezze raccolte, verranno da noi distribuite, quotidianamente e nottetempo, agli indigenti di circa 200 famiglie, sparse nelle sterminate periferie della città. Persone di ogni età, che grazie a questa meravigliosa idea, possono gustare le più squisite specialità culinarie. Apprezzo molto il fatto che padre Arturo non chieda nulla: appartenenza, stato sociale, credo religioso, niente! Lui sostiene che chi ha necessità va aiutato e basta, in ogni caso. Potrà sembrare una banalità, ma con tutto quello che ho visto in altri luoghi è davvero molto! Invece il simpaticissimo Dan si è da poco laureato nel Massachusetts e prima di iniziare l’attività lavorativa, si è concesso un periodo di due annetti
Il terzo giorno al lavoro con un’esperienza molto positiva, che cercherò di replicare in altre realtà. In compagnia del giovane volontario americano Dan, vado con un furgone tra i più lussuosi hotel della città, per ritirare l’enorme quantità di ottimo cibo non consumato negli elegantissimi self service, subito dopo il pranzo. Per accedere a questi esclusivi hotel, dove soggiornano americani facoltosi, si attraversano tre posti di blocco sorvegliati da polizia privata e, per entrare nelle immense cucine, occorre vestirsi come per una sala operatoria. Tutte le prelibatezze raccolte, verranno da noi distribuite, quotidianamente e nottetempo, agli indigenti di circa 200 famiglie, sparse nelle sterminate periferie della città. Persone di ogni età, che grazie a questa meravigliosa idea, possono gustare le più squisite specialità culinarie. Apprezzo molto il fatto che padre Arturo non chieda nulla: appartenenza, stato sociale, credo religioso, niente! Lui sostiene che chi ha necessità va aiutato e basta, in ogni caso. Potrà sembrare una banalità, ma con tutto quello che ho visto in altri luoghi è davvero molto! Invece il simpaticissimo Dan si è da poco laureato nel Massachusetts e prima di iniziare l’attività lavorativa, si è concesso un periodo di due annettiper fare volontariato. Mi dice che dalle sue parti è una cosa abbastanza normale!
Un personaggio speciale. Quando padre Arturo mi informa che dovrà assentarsi un paio di settimane per un viaggio a Mulegé, decido a mia volta di fare un tour per i fatti miei e in solitaria. Non devo dimenticare mai che nel volontariato è bene unire l’utile al dilettevole, inoltre non posso perdere l’occasione di ammirare gli scenari unici della Baja California, dove piove tre volte all’anno, non tre giorni, tre volte. Quindi il mattino dopo parto risalendo i 1.700 chilometri della penisola, con oltre 30 ore di bus fino alla zona di confine Tijuana-San Diego, per poi ridiscendere nella maniera che piace a me, zaino in spalla, “on the road”, facendo tappa per qualche giorno nei luoghi più belli, tanto decantati da Cris durante le nostre piacevolissime conversazioni serali. Lei vive qui da molti anni, in questo paradiso che si adagia tra due mari, coi deserti immensi di cactus giganti e bellissime agave. Uno strabiliante scenario ed un Messico molto diverso da quello della penisola dello Yucatan, che avevo conosciuto pochi anni prima. Molti ranch, circondati da rottami di auto e giganteschi pick up arrugginiti parcheggiati lungo le tipiche long way, strade delle quali non si vede la fine. Mentre osservo un casolare bianco, si aprono cigolando le porticine di legno tipo saloon ed esce un hombre con sombrero, che
salta su un catorcio sgangherato e scappa via velocemente sollevando un enorme polverone, come si vede
nei film quando il protagonista è in fuga da qualcosa, di solito dalla polizia. Dopo alcune ore arrivo a Tijuana.
Anni fa ero stato per un lungo periodo a Bangkok e avevo ritenuto fosse la città della perdizione e della vita notturna per eccellenza, come cantava l’inglese Murray Head nella sua “One night in Bangkok”, ma dopo aver passato qualche giorno e soprattutto qualche notte a Tijuana, dove si dice che passeggiando nella av. Revolution può capitare di tutto, non so più. E’ una città messicana dove non è ben delimitato il confine con l’americana San Diego, tranne nella zona frontaliera super presidiata. Il suo muro infinito, il letto di un torrente quasi prosciugato che gli corre accanto, campeggio naturale di tanti messicani in perenne attesa della remota possibilità di saltare dall’altra parte. Ovunque si respira un’aria di scarsa legalità e capita veramente di tutto. Un mattino di una movimentata sera prima, mi trovo in tasca un bigliettino scritto in spagnolo:“non dire niente a nessuno, firmato Magda”. Ma la mia memoria si ferma ad una piacevole sensazione, legata alla presenza di una figura un po’ sfocata. E poche sere dopo, sono a cena nel lussuoso ristorante Caesar’s con Claudia, una dolce avventuriera conosciuta per caso. Per me anche un’avventuriera può essere dolce, specie se paragonata a certe signore del nostro bel paese, spesso stressate e indiavolate senza ragione. In certi posti si può ancora apprezzare chi fa senza far pesare, chi trova sempre il tempo per tutto, senza impazzire o sbuffare ogni istante, le donne semplici che non se la tirano per intenderci. Con Cris ne abbiamo parlato a lungo.
Sopravvissuto a Tijuana, in autobus inizio il viaggio verso sud con la mitica carretera Mexico1. Prima sosta Ensenada. Natura selvaggia e incontaminata, qualche pousada e rovine di antiche missioni. Ogni cosa è adagiata su una superficie molto vasta: le tradizionali casette bianche senza tetto, i ranch dove trovare del cibo, la chiesetta stessa, che ovunque nel mondo contraddistingue il centro di qualcosa, insieme a tutto ciò di cui necessita un viaggiatore. Lunghe camminate fino a notte inoltrata, attraverso sentieri deserti, che finiscono solo quando iniziano le incantevoli spiagge del Pacifico. Ricchissima vegetazione e fiori di ogni tipo. Il giorno dopo un altro bus diretto a San Quintín e alla sua Bahía. Anche qui devo camminare molto per cercare qualcosa che non conosco e un intero pomeriggio senza trovarlo. Decido quindi di ripartire, anche se la prima località che ho in mente si trova a diverse ore di strada e comincia a far buio e freddo. Chiedo all’autista una coperta e la cortesia di svegliarmi a Guerrero Negro. Piove a dirotto e per evitare che si appannino i vetri deve tenere accesa l’aria condizionata. Un freddo cane! Mi avvolgo nella coperta e mi sistemo alla meglio su due sedili per un lungo sonno fino all’arrivo, quando l’autista
mi sveglia. In fretta e furia prendo lo zaino e mi precipito fuori. Lui mi saluta come usano da queste parti con un caloroso adiós
sbuffare ogni istante, le donne semplici che non se la tirano per intenderci. Con Cris ne abbiamo parlato a lungo.
Sopravvissuto a Tijuana, in autobus inizio il viaggio verso sud con la mitica carretera Mexico1. Prima sosta Ensenada. Natura selvaggia e incontaminata, qualche pousada e rovine di antiche missioni. Ogni cosa è adagiata su una superficie molto vasta: le tradizionali casette bianche senza tetto, i ranch dove trovare del cibo, la chiesetta stessa, che ovunque nel mondo contraddistingue il centro di qualcosa, insieme a tutto ciò di cui necessita un viaggiatore. Lunghe camminate fino a notte inoltrata, attraverso sentieri deserti, che finiscono solo quando iniziano le incantevoli spiagge del Pacifico. Ricchissima vegetazione e fiori di ogni tipo. Il giorno dopo un altro bus diretto a San Quintín e alla sua Bahía. Anche qui devo camminare molto per cercare qualcosa che non conosco e un intero pomeriggio senza trovarlo. Decido quindi di ripartire, anche se la prima località che ho in mente si trova a diverse ore di strada e comincia a far buio e freddo. Chiedo all’autista una coperta e la cortesia di svegliarmi a Guerrero Negro. Piove a dirotto e per evitare che si appannino i vetri deve tenere accesa l’aria condizionata. Un freddo cane! Mi avvolgo nella coperta e mi sistemo alla meglio su due sedili per un lungo sonno fino all’arrivo, quando l’autista mi sveglia. In fretta e furia prendo lo zaino e mi precipito fuori. Lui mi saluta come usano da queste parti con un caloroso adiós
Ora vorrei trovare una barca per andare a vedere le balene, ma la gente non sa e mi guarda come fossi un marziano. Arrivo finoalla laguna e mi rivolgo ad una tipa che esce da un cancello. Gentilissima, mi dice di non essere del posto, ma mi porta aconoscere la mamma in una tienda. Dopo un paio di telefonate la mamma mi informa sconsolata, che non è ancora stagione dibalene e che dovrò attendere ancora un mesetto. Trascorro la mattinata in compagnia delle mie due nuove amiche e dopo unfrugale pasto in riva all’oceano, salgo su un altro bus diretto a Santa Rosalia, passando da San Ignacio. Paesino carino dove trovo una sistemazione per la notte in una locanda di legno sopra una taverna chiusa. La padrona è dolcissima, come tutte le persone incontrate in questo viaggio, ma la mia unica compagnia per la notte è la solita cucaracha grossa grossa e nera nera.
Baia Conceptión a sud di Mulegé, la più bella di tutta la penisola, che percorro per qualche chilometro costeggiando splendide insenature e lunghissime spiagge deserte affacciate sul mar di Cortés. Poi Loreto e le sue almejas crude, una sorta di vongole giganti, specialità del ristorante Bruno’s che, con il conto, mi porta una scatola di legno con dentro due dadi da tirare. Mi spiega che se escono due uno mi regala un bicchierino di limoncello, se escono due quattro mi sconta il pranzo del 10%, se escono due sei sconto 50%. Idea simpatica, ma non vinco niente. Loreto mi attrae moltissimo con la sua stupenda basilica e l’alone di misticismo che circonda la missione. Ancora lunghe passeggiate al tramonto, ammirando le svariate specie di uccelli che sorvolano il lungomare di questo sito, dichiarato patrimonio dell’umanità. Mi concedo un paio di notti nel lussuoso hotel Santa Fe, che mi prende bene già dal nome. Più scendo la Baja California sur più incontro realtà aperte, luminose e più attrezzate, a differenza degli affascinanti, polverosi e solitari villaggi della Baja norte, che forse preferisco… ma devo continuare a scendere.
Giungo quindi nella capitale La Paz in un giorno di mercato. Spettacolari i coloratissimi mercati messicani, potrei scrivere un trattato sui loro odori e sapori e sulla gente semplice che li frequenta. Acquisto un poncho e un sombrero, non per confondermitra la folla ma per il forte vento gelido. La Paz è una poesia fatta di litorali e grappoli di isolette adagiate sul golfo di California.
Infine Todos Santos e l’hotel California dove, secondo una leggenda ben radicata, Don Henley, batterista e voce solista degli Eagles, avrebbe tratto ispirazione per l’omonimo brano. All’interno si trovano ritagli di giornale dove si racconta questa leggenda, ma non è vero niente. Nell’atrio sento in sottofondo un brano di Ennio Morricone. Esco dall’hotel e dal paese e scopro infiniti sentieri di terra che portano alle assolate e deserte spiagge del Pacifico, natura, natura selvaggia e nessuno, nessuna persona in giro. Molti animali domestici e non, cammino estasiato per un giorno intero in un luogo dove chiedere un passaggio al primo che passa diventa una necessità, che i locali comprendono e concedono con grande generosità. Ora però credo sia ora di tornare, con questa lunga e indimenticabile distrazione, rischio di trascurare gli amici della comunità.
A Cabo San Lucas non c’è solo l’attività giornaliera alla casa San Juan Diego, c’è Cris, che ogni sera mi coinvolge nei suoi piacevoli impegni. Oggi mi invita a San Josè per la presentazione del nuovo libro dell’amica e poetessa Claudia, in un locale pieno di colore locale. Ritorno alle 4 de la madrugada, dopo la doverosa sosta in due locali di musica dal vivo. Aqui no se puede evitar! E ricordo anche che il mese è passato, da quando mi indicavano il periodo in cui le balene gironzolano in branchi per l’accoppiamento e non risparmiano spettacoli acrobatici a pelo d’acqua. Mi rivolgo al porticciolo, dove trovo barca e marinaio folle che non esita a passarmi il timone per raccogliere alcune bottiglie che si sono capovolte. L’oceano è mosso e per tagliare le onde fatico a tenere stretto il timone, che ad ogni impatto con i cavalloni, sembra voler prendere l’iniziativa per una diversa traiettoria. Tra le tante piacevoli offerte dalla cortesia di Cris e dei suoi amici, c’è la serata settimanale dedicata al “compartir”. Una emozionante pratica che non dimenticherò mai più. Mi è parso subito molto bello e quasi intrigante, questo concetto di con questa lunga e indimenticabile distrazione, rischio di trascurare gli amici della comunità.
A Cabo San Lucas non c’è solo l’attività giornaliera alla casa San Juan Diego, c’è Cris, che ogni sera mi coinvolge nei suoi piacevoli impegni. Oggi mi invita a San Josè per la presentazione del nuovo libro dell’amica e poetessa Claudia, in un locale pieno di colore locale. Ritorno alle 4 de la madrugada, dopo la doverosa sosta in due locali di musica dal vivo. Aqui no se puede evitar! E ricordo anche che il mese è passato, da quando mi indicavano il periodo in cui le balene gironzolano in branchi per l’accoppiamento e non risparmiano spettacoli acrobatici a pelo d’acqua. Mi rivolgo al porticciolo, dove trovo barca e marinaio folle che non esita a passarmi il timone per raccogliere alcune bottiglie che si sono capovolte. L’oceano è mosso e per tagliare le onde fatico a tenere stretto il timone, che ad ogni impatto con i cavalloni, sembra voler prendere l’iniziativa per una diversa traiettoria.
Tra le tante piacevoli offerte dalla cortesia di Cris e dei suoi amici, c’è la serata settimanale dedicata al “compartir”. Una emozionante pratica che non dimenticherò mai più. Mi è parso subito molto bello e quasi intrigante, questo concetto di condividere qualsiasi cosa tra amici. Trattando argomenti di qualsiasi natura, pensieri e passioni, desideri, successi e delusioni, o semplicemente declamando poesie o racconti. Tutto apparentemente simpatico, fino al giorno in cui Cris mi invita a partecipare. Alla cafeteria cioccolateria Maria Canéla dell’amica Alessandra, sono tutti presenti attorno ad un tavolo. L’atmosfera è quella giusta, c’è qualche misterioso ingrediente che incoraggia e che non trovo, per esempio, a Milano. Il desiderio di tutti di fare partecipi gli altri, anche un nuovo amico che, come me, si cimenta in questa esperienza per la prima volta con ciò che capita e che va raccontato. Essere più o meno tutti nella stessa condizione, per lo più single, single per scelta, aiuta. Eppure non me lo spiego lo stesso, perché conosco tanti single in Italia che non hanno certo di queste esigenze o almeno non lo manifestano. Da noi c’è più pudore o meglio, falso pudore. In Italia non si contempla un simile coinvolgimento da parte di altre persone, neppure per argomenti di interesse comune. Ma dove sarà mai la differenza, perché non nasce in tutti la passione della condivisione, del compartir??? E’ un desiderio che, personalmente, ho sempre avuto e che forse è destinato a rimanere tale, perché l’ho sempre vissuto quasi come fosse una necessità solo mia. Sono poche le anime che rispondono alle mie sollecitazioni in questo senso. Qui ciascuno dice la sua con grande spontaneità e sincerità, senza interruzione da parte di altri, solo un breve commento al termine, se il caso. Si parla di un fatto accaduto, si commenta un libro letto, una frase trovata da qualche parte, qualcuno si concentra sulla poesia. Il coinvolgimento è tale che viene richiesto anche a me di intervenire, con qualsiasi argomento. E così mi viene in mente Medeiros con la sua poesia “muore lentamente” che è piaciuta subito. L’ho recitata in italiano e l’amico Omàr, per poi rileggerla a modo suo.
Cris ha speso tutto il tempo del suo intervento per i saluti al sottoscritto. Iniziando con la lettura di un cartoncino raffigurante, da una parte i cactus del deserto di Baja e frasi sul benefico potere del viaggiare, dall’altra i pensieri che ognuno degli amici mi ha voluto dedicare. Conserverò gelosamente il biglietto per tutta la vita perché mi ha commosso profondamente. Mi hanno poi regalato una bottiglia da collezione di tequila, un bellissimo calendario fotografico ed una confezione di ”Damiana” un’erba afrodisiaca del deserto di Baja. Al termine tutti a cena! Poco prima di entrare nel locale dove cucinano esclusivamente tacos, i miei nuovi amici mi chiedono cos’è che più mi è piaciuto della Baja California e di Cabo San Lucas.
Quando ho risposto loro che la cosa che mi ha colpito maggiormente è proprio la loro compagnia e il loro modo di compartir, mi sono accorto che il mio giudizio avrebbe potuto sembrare troppo accondiscendente, ma ho ribadito lo stesso il concetto, perché è la verità. Mi viene in mente e sorrido amaramente, quando penso a quale interpretazione avremmo dato noi al compartir, usando le nostre paure e pregiudizi. Forse noi pensiamo che sia lecito compartir solo con la persona con la quale si vive? Solo ad una moglie o ad un marito? Forse da noi i pochi eletti si radunano in circoli esclusivi, quasi a segnare il confine ben delimitato, tra chi ha il coraggio di raccontarsi ed il resto del mondo? Non so, non so proprio, perché nei nostri luoghi di aggregazione si commentano perlopiù partite di calcio, si impiegano serate giocando a carte o al biliardo. Il tutto condito con le amenità demenziali che propone la televisione, che fa da sottofondo e che non manca mai, coi grandi fratelli e le famose isole. Mi attirerò qualche antipatia lo so, ma sarà forse questa la ragione che porta molti viaggiatori a stabilirsi in un altro luogo? Prima o poi toccherà anche a me? Sto prendendo alla lettera le parole che proprio Cristina, giornalista giramondo mi disse tempo fa:“non impazzire cercando il luogo dove stabilirti per sempre, sarà lui a trovare te”. Lei è stata stregata dalla Baja e da Cabo San Lucas.
Tornando alla Casa San Juan Diego, dove ho trascorso delle piacevolissime giornate in compagnia di tutte le splendide persone che ci lavorano, una mattina di buon’ora trovo ad attendermi una comitiva di americani, genitori di alcuni ragazzi iscritti ad una università molto esclusiva dell’Ohio che, con una televisione privata americana sono in visita alla comunità. Così mi fanno un’intervista. Dopo la firma per liberatoria alla messa in onda, qualche signora mi si avvicina per sapere come fare a dare una mano, qualcun’altra per donarmi dei dollari, gli americani in questo sono grandi! Le dirotto tutte dal solerte Nestor, seminarista che qui si improvvisa tesoriere. Nessuno ha saputo procurarmi opuscoli da distribuire, né bigliettini da regalare in cambio delle donazioni. Sono un poco carenti su questo, come su altri punti. Proprio per questo Padre Arturo mi invita a ritornare, per organizzare un poco l’associazione, perché se è vero che lui ha fatto tanto, tanto si può ancora fare, a partire da alcune procedure di raccolta fondi, che qui stranamente non conoscono. Dall’adozione a distanza alle collette in ristoranti e bar che per assurdo ed in più occasioni, gli stessi gestori o proprietari hanno suggerito a me. L’occasione è venuta da una lotteria organizzata dalla parrocchia con lo scopo di far fronte alle spese, per la costruzione di un nuova ala riservata ai drogaditos del pueblo. Dopo aver comprato alcune cartelle, Antonio mi dice che moltissime resteranno invendute. Spera che i numeri estratti appartengano a cartelle invendute, perché in caso di vincite non ci sarebbero i soldi per pagarle. L’unico punto vendita è la piccola tienda, allestita fuori dalla cattedrale e gestita da sua moglie. Mi faccio venire un’idea e chiedo ad Antonio di radunare tutte le cartelle invendute, di prendere l’auto e di seguirmi in città dove suggerisco a tutti i gestori dei bar e ristoranti di mia conoscenza, di proporre ai loro clienti l’acquisto delle cartelle invendute. Siamo tornati il giorno dopo a ritirare matrici e soldi ed abbiamo così potuto fare l’estrazione. E’ la sera del mio penultimo giorno. Padre Arturo mi saluta calorosamente con un dono prezioso e mi rinnova il suo invito, perché c’è bisogno. Sinceramente so di non aver fatto nulla di straordinario, ma lui sostiene che ai suoi collaboratori messicani non sarebbero venute in mente certe iniziative e la cosa mi intristisce un po’.
L’ultimo giorno a Cabo e colazione al bar, mentre un poliziotto smonta la targa di un’auto in divieto di sosta. Mi racconta un tizio che è l’unico modo per far pagare la multa, quando il trasgressore andrà a ritirare la targa. In quel mentre arriva il buon Josè Antonio per accompagnarmi in aeroporto. Ho potuto notare che i suoi occhi erano lucidi. E’ un grande amico! Credo proprio che ritornerò. C’è molto da fare, da organizzare e le persone sono disponibilissime! Ci sto già facendo un pensierino!
E’ stata più che altro una vacanza stavolta, anche se ho avuto l’onore di dare una mano alla casa San Juan Diego e prendere visione di cosa si potrà fare in futuro. La gente che ho conosciuto e le tante emozioni provate, mi fanno dire ancora una volta che il totale coinvolgimento in queste realtà mi regala sempre una vita nuova, fatta di sensazioni forti, che mi gratificano infinitamente. Ma il vero problema è il dopo, con il rientro a casa. Come si fa ad accontentarsi di meno?
Io l’ho tradotta in estrema sintesi, ma questa è una frase che mi sento ripetere spesso, dalle tante persone che incontro nei miei viaggi. Quando rientrano in Italia per un breve periodo, hanno come l’impressione di passare per sbruffoni agli occhi degli amici e delle persone care, per il solo fatto che non riescono più a trovare grande motivazione nella vita di sempre, fatta di una quotidianità che può sembrare banale. Una condizione che, prima di intraprendere un nuovo cammino, avevano vissuto per tanto tempo senza chiedersi perché, o forse senza sapere che esiste altro. Nel mio piccolo, durante questi quindici anni nel volontariato, a volte mi capita di provare la stessa sensazione. Ma non ci penso e cerco di farmi piacere anche le cose che riesco a fare a Milano, ma con un pensiero costante al viaggio successivo. Se capita, condivido le esperienze con chi rimane a casa magari per problemi familiari. La condivisione comunque mi riesce bene solo quando incontro chi resta non per scelta o pigrizia.
Ringrazio ancora Cris, che ha saputo darmi l’ispirazione per venire in questo posto fuori dal mondo, con tutto ciò che mi ha offerto, comprese le ottime cavallette, gustate nel ristorante La Fonda di Cabo San Lucas. Un grande abbraccio a tutti i suoi, che ora sono anche miei amici. Mi hanno accolto da subito come uno di loro. Ma adesso devo proprio andare! Mi aspetta un volo Interjet per Mexico City, sul quale viaggio con una signora che mi ricorda qualcuno… che poi mi viene in mente: è Mark Knopfler dei Dire Straits!!! dimostrarmi il suo gradimento, l’ha voluta tradurre in spagnolo, per poi rileggerla a modo suo.
Cris ha speso tutto il tempo del suo intervento per i saluti al sottoscritto. Iniziando con la lettura di un cartoncino raffigurante, da una parte i cactus del deserto di Baja e frasi sul benefico potere del viaggiare, dall’altra i pensieri che ognuno degli amici mi ha voluto dedicare. Conserverò gelosamente il biglietto per tutta la vita perché mi ha commosso profondamente. Mi hanno poi regalato una bottiglia da collezione di tequila, un bellissimo calendario fotografico ed una confezione di ”Damiana” un’erba afrodisiaca del deserto di Baja. Al termine tutti a cena! Poco prima di entrare nel locale dove cucinano esclusivamente tacos, i miei nuovi amici mi chiedono cos’è che più mi è piaciuto della Baja California e di Cabo San Lucas. Quando ho risposto loro che la cosa che mi ha colpito maggiormente è proprio la loro compagnia e il loro modo di compartir, mi sono accorto che il mio giudizio avrebbe potuto sembrare troppo accondiscendente, ma ho ribadito lo stesso il concetto, perché è la verità. Mi viene in mente e sorrido amaramente, quando penso a quale interpretazione avremmo dato noi al compartir, usando le nostre paure e pregiudizi. Forse noi pensiamo che sia lecito compartir solo con la persona con la quale si vive? Solo ad una moglie o ad un marito? Forse da noi i pochi eletti si radunano in circoli esclusivi, quasi a segnare il confine ben delimitato, tra chi ha il coraggio di raccontarsi ed il resto del mondo? Non so, non so proprio, perché nei nostri luoghi di aggregazione si commentano perlopiù partite di calcio, si impiegano serate giocando a carte o al biliardo. Il tutto condito con le amenità demenziali che propone la televisione, che fa da sottofondo e che non manca mai, coi grandi fratelli e le famose isole. Mi attirerò qualche antipatia lo so, ma sarà forse questa la ragione che porta molti viaggiatori a stabilirsi in un altro luogo? Prima o poi toccherà anche a me? Sto prendendo alla lettera le parole che proprio Cristina, giornalista giramondo mi disse tempo fa:“non impazzire cercando il luogo dove stabilirti per sempre, sarà lui a trovare te”. Lei è stata stregata dalla Baja e da Cabo San Lucas.
Tornando alla Casa San Juan Diego, dove ho trascorso delle piacevolissime giornate in compagnia di tutte le splendide persone che ci lavorano, una mattina di buon’ora trovo ad attendermi una comitiva di americani, genitori di alcuni ragazzi iscritti ad una università molto esclusiva dell’Ohio che, con una televisione privata americana sono in visita alla comunità. Così mi fanno un’intervista. Dopo la firma per liberatoria alla messa in onda, qualche signora mi si avvicina per sapere come fare a dare una mano, qualcun’altra per donarmi dei dollari, gli americani in questo sono grandi! Le dirotto tutte dal solerte Nestor, seminarista che qui si improvvisa tesoriere. Nessuno ha saputo procurarmi opuscoli da distribuire, né bigliettini da regalare in cambio delle donazioni. Sono un poco carenti su questo, come su altri punti. Proprio per questo Padre Arturo mi invita a ritornare, per organizzare un poco l’associazione, perché se è vero che lui ha fatto tanto, tanto si può ancora fare, a partire da alcune procedure di raccolta fondi, che qui stranamente non conoscono. Dall’adozione a distanza alle collette in ristoranti e bar che per assurdo ed in più occasioni, gli stessi gestori o proprietari hanno suggerito a me. L’occasione è venuta da una lotteria organizzata dalla parrocchia con lo scopo di far fronte alle spese, per la costruzione di un nuova ala riservata ai drogaditos del pueblo. Dopo aver comprato alcune cartelle, Antonio mi dice che moltissime resteranno invendute. Spera che i numeri estratti appartengano a cartelle invendute, perché in caso di vincite non ci sarebbero i soldi per pagarle. L’unico punto vendita è la piccola tienda, allestita fuori dalla cattedrale e gestita da sua moglie. Mi faccio venire un’idea e chiedo ad Antonio di radunare tutte le cartelle invendute, di prendere l’auto e di seguirmi in città dove suggerisco a tutti i gestori dei bar e ristoranti di mia conoscenza, di proporre ai loro clienti l’acquisto delle cartelle invendute. Siamo tornati il giorno dopo a ritirare matrici e soldi ed abbiamo così potuto fare l’estrazione. E’ la sera del mio penultimo giorno. Padre Arturo mi saluta calorosamente con un dono prezioso e mi rinnova il suo invito, perché c’è bisogno. Sinceramente so di non aver fatto nulla di straordinario, ma lui sostiene che ai suoi collaboratori messicani non sarebbero venute in mente certe iniziative e la cosa mi intristisce un po’.
L’ultimo giorno a Cabo e colazione al bar, mentre un poliziotto smonta la targa di un’auto in divieto di sosta. Mi racconta un tizio che è l’unico modo per far pagare la multa, quando il trasgressore andrà a ritirare la targa. In quel mentre arriva il buon Josè Antonio per accompagnarmi in aeroporto. Ho potuto notare che i suoi occhi erano lucidi. E’ un grande amico! Credo proprio che ritornerò. C’è molto da fare, da organizzare e le persone sono disponibilissime! Ci sto già facendo un pensierino!
E’ stata più che altro una vacanza stavolta, anche se ho avuto l’onore di dare una mano alla casa San Juan Diego e prendere visione di cosa si potrà fare in futuro. La gente che ho conosciuto e le tante emozioni provate, mi fanno dire ancora una volta che il totale coinvolgimento in queste realtà mi regala sempre una vita nuova, fatta di sensazioni forti, che mi gratificano infinitamente. Ma il vero problema è il dopo, con il rientro a casa. Come si fa ad accontentarsi di meno?
Io l’ho tradotta in estrema sintesi, ma questa è una frase che mi sento ripetere spesso, dalle tante persone che incontro nei miei viaggi. Quando rientrano in Italia per un breve periodo, hanno come l’impressione di passare per sbruffoni agli occhi degli amici e delle persone care, per il solo fatto che non riescono più a trovare grande motivazione nella vita di sempre, fatta di una quotidianità che può sembrare banale. Una condizione che, prima di intraprendere un nuovo cammino, avevano vissuto per tanto tempo senza chiedersi perché, o forse senza sapere che esiste altro. Nel mio piccolo, durante questi quindici anni nel volontariato, a volte mi capita di provare la stessa sensazione. Ma non ci penso e cerco di farmi piacere anche le cose che riesco a fare a Milano, ma con un pensiero costante al viaggio successivo. Se capita, condivido le esperienze con chi rimane a casa magari per problemi familiari. La condivisione comunque mi riesce bene solo quando incontro chi resta non per scelta o pigrizia.
Ringrazio ancora Cris, che ha saputo darmi l’ispirazione per venire in questo posto fuori dal mondo, con tutto ciò che mi ha offerto, comprese le ottime cavallette, gustate nel ristorante La Fonda di Cabo San Lucas. Un grande abbraccio a tutti i suoi, che ora sono anche miei amici. Mi hanno accolto da subito come uno di loro. Ma adesso devo proprio andare! Mi aspetta un volo Interjet per Mexico City, sul quale viaggio con una signora che mi ricorda qualcuno… che poi mi viene in mente: è Mark Knopfler dei Dire Straits!!!
Buena vida a todo mundo! Fer +39 348 827 9062